abbiamo ucciso i morti, e adesso ci aggiriamo in una vita che e` poco piu` di un pregiudizio, lontani dalla pienezza dell`esistenza. ecco il sintomo collettivo, la malattia di cui soffre la nostra cultura, e che le psicoterapie tentano invano di sanare. lo intui` un secolo fa c. g. jung, quando inizio` quella discesa nei propri abissi inferi che avrebbe speso anni a trascrivere, calligrafare e corredare di immagini sfolgoranti, consegnando poi il testo a un silenzio infranto solo nel 2009, con l`edizione che lascio` stupefatti: il "libro rosso", favoleggiato da tempo nelle cerchie junghiane, vedeva la luce e la sua unicita` ancora da decifrare scuoteva non solo l`edificio della psicologia analitica ma ogni altra costruzione concettuale eretta sul territorio della psiche. li` nulla potra` essere come prima. e la convinzione comune di james hillman e sonu shamdasani. nel clima sintonico creato dalia loro spigliata liberta` intellettuale, conversano a caldo sul significato di un`impresa per cui vanno cercate le parole adatte al di fuori dei linguaggi specialistici, in direzione metaforica, poetica e drammatica. attraverso il dialogo di hillman e shamdasani si precisa cosi` l`entita` dello scotimento. la gerarchia dei vivi e dei morti ne esce capovolta, perche` nel profondo di se` jung non rinviene i traumi personali che l`abbaglio introspettivo e` solito portare a galla; vi incontra invece le figure ancestrali della storia umana, i morti che lamentano di restare inascoltati. |