simic, cui la forma oscillante tra l`aforisma e la prosa breve sembra particolarmente congeniale, siede a giudicare se stesso e il mondo. ed e` un giudice-poeta chiaroveggente e bizzoso, improvviso negli scatti d`ira e nelle smanie d`amore, che crede "nella irrimediabile e caotica mescolanza di ogni cosa", e usa "il caso come attrezzo per demolire le nostre associazioni abituali". ora striglia i politici guerrafondai e gli intellettuali loro complici, ora racconta con macabra ironia vecchie storie dei balcani (quel luogo d`europa la cui economia si regge sulle "fabbriche di orfani e gli allevamenti di capri espiatori"). stralunato e lubrico, "avanzo di galera di tutti i paradisi terrestri", non cessa di meravigliarsi della stupidita` umana, ingrediente segreto della storia, ma anche dell`enciclopedia di archetipi celata in ciascun oggetto. ad ogni pagina, guizzi fulminei e collegamenti interrotti: "una melodia allegra suonata con malinconia", un`immagine sfocata di se` colta di sfuggita in uno specchio egizio, qualcosa "a meta` tra l`infinito e lo starnuto", un "saporito stufato casalingo di angelo e bestia". |