a luciano bianciardi sempre stette a cuore la vita dei minatori. quando nel 1954 esplose la miniera della montecatini, quarantatre` persone morirono, in quarantatre` dal sottosuolo riemersero senza vita, quarantatre` compaesani a cui bianciardi si sentiva legato visceralmente. a ricostruirne la vita, si ha l`impressione che lo scrittore fosse andato da grosseto a milano solo per vendicare quei morti. il viaggio di gaia manzini sui passi di bianciardi inizia da questo sentimento di rivalsa, e quindi dalla ricerca del torracchione, che sempre assillo` lo scrittore. secondo lui, la verticalita` del capoluogo lombardo rappresentava il potere: su sta chi comanda, giu` chi muore; su chi e` responsabile, giu` chi paga. luciano bianciardi e` nato ossimoro: un nome luminoso per un dinamitardo, sempre in protesta. contro il lavoro impiegatizio, la vacuita`, e pure contro milano. la citta` detestata ma mai abbandonata: come molti altri all`epoca, anche bianciardi si muoveva per milano come fosse casa sua, le vie come corridoi, le piazze come camere. tutti con la smania di diventare artisti, scrittori, giornalisti, fotoreporter, tutti a darsi una mano perche` qualcuno riuscisse: minatori che s`immergevano in una vita inesplorata, ignorando come ne sarebbero emersi. gaia manzini interroga la vita di bianciardi per cercare un senso al proprio itinerario milanese, per cercare un maestro. l`autrice dialoga anche con milano e traccia la storia di un`epoca, dell`impresa feltrinelli, della scapigliatura di brera, di jannacci, di cochi e renato, in una passeggiata che comincia dai torracchioni e finisce al bosco verticale. perche`, in queste pagine, chiarissimo emerge il cambiamento continuo di una citta` frenetica, ma anche la sua immutata tendenza a puntare in alto e a non guardare cosa, chi, resta in basso. |