nel 1973, quando apparve da adelphi "i due allegri indiani", l`aggettivo demenziale non era ancora entrato nel lessico della critica italiana, ne` letteraria ne` cinematografica ne` musicale: il primo film dei monty python sarebbe stato distribuito solo un anno dopo, "hellzapoppin`", "la guerra lampo" dei fratelli marx erano noti a una sparuta minoranza di cinefili, e gli unici esempi di " demenzialita` " che venissero proposti alle italiche genti erano i personaggi di "alto gradimento". per di piu` rodolfo wilcock era un ospite assai singolare della nostra letteratura - per non dire un alieno. cresciuto alla scuola di borges, gia` autore di parecchi libri nel suo paese, si era reinventato come scrittore in una lingua, l`italiano, che aveva a sua volta reinventato con una estrosita`, o meglio, una sfrenatezza, paragonabile solo a quella che nabokov aveva inoculato nella lingua inglese. forse per questo ci sono voluti anni prima che wilcock venisse riconosciuto per quello che e`: un maestro del fantastico e del grottesco - e un maestro della prosa italiana. "i due allegri indiani" si potrebbe definire un " romanzo rivista", nel doppio senso della parola: 1, perche` e` articolato nei trenta numeri della rivista "il maneggio", diretta e redatta dal protagonista del romanzo stesso, che muta continuamente nome; 2, perche` ogni numero di questa rivista e` come un susseguirsi esilarante di sketch di avanspettacolo, il cui autore fosse pero` un letterato abilissimo, un genio della satira. |