molto tempo prima che venisse coniato il semplicistico termine di "globalizzazione", carl schmitt aveva visto, con lucidita` profetica, come "l`universalismo dell`egemonia anglo-americana" fosse destinato a cancellare ogni distinzione e pluralita` spaziale in un "mondo unitario" totalmente amministrato dalla tecnica e dalle strategie economiche transnazionali, e soggetto a una sorta di `polizia internazionale`. un mondo spazialmente neutro, senza partizioni e senza contrasti - dunque senza politica. per schmitt non il migliore, ma il peggiore dei mondi possibili, sradicato dai suoi fondamenti tellurici. fedele alla `justissima tellus`, schmitt persegue invece l`idea che non possa esservi `ordnung` (ordinamento) mondiale senza `ortung` (localizzazione), cioe` senza un`adeguata, differenziata suddivisione dello spazio terrestre. una suddivisione che superi pero` l`angustia territoriale dei vecchi stati nazionali chiusi, per approdare al `principio dei grandi spazi`: l`unico in grado di creare un nuovo `jus gentium`, al cui centro ideale dovrebbe tornare a porsi l`antica terra d`europa, autentico `katechon` di fronte all`anticristo dell`uniformazione planetaria nel segno di un unico "signore del mondo". certo e` che la prospettiva di schmitt, gia` delineata ottant`anni fa, appare oggi piu` attuale che mai, e il suo pensiero si conferma come essenziale per la lettura della nostra epoca. |