"da come li immagina, da come ne parla, da come li fa, i vasi di diego chilo` non sono oggetti ma personaggi. prima sognati e desiderati, poi vestiti di vetro e ancora liberati nell`aria o nell`acqua come un animaletto catturato che respira la liberta` dalle mani che lo lasciano andare in un mondo fantastico e non fantastico, materiale e immateriale quale e` il gioco della vita come l`arte del vetro." (m. brusatin)

la lenta agonia di un uomo a cui viene diagnosticato un cancro mortale. e un figlio che, pur standogli accanto, ha perso la capacita` di piangere. niente sentimentalismi, solo un lucido e freddo distacco, scopre in se` il protagonista con impotente strazio nel racconto che apre questa raccolta. al centro del secondo c`e` uno strazio analogo, provato durante le visite domenicali ai genitori, quando l`aria e` satura d`un amore informe e ingombrante, che si incanala in una malinconica e quasi insostenibile tenerezza. scritti nel 1954, questi due racconti avrebbero dovuto essere il nucleo di un romanzo, dalla storia apertamente autobiografica, che non vide mai la luce. quando, nel 1989, a broyard viene diagnosticato lo stesso cancro del padre e` come se quella storia si compisse: risoluto a farsi trovar vivo dalla morte, in un piccolo saggio, che costituisce una sorta di capitolo conclusivo, l`autore medita sul proprio male con serenita`, comicita`, euforia.
Racconta la storia di Erin, aspirante giornalista a San Francisco, e Garrett, ambizioso assistente A&R di un'etichetta discografica di New York, che cercano di portare avanti la loro relazione a distanza. Fra comunicazioni via web-cam, miglia macinate per fugaci incontri, e cattivi consigli da parte di amici e spasimanti, i due riescono faticosamente a tenere vivo il loro amore. Ma quando la separazione sembra essere finalmente giunta al termine, Erin trova il lavoro dei propri sogni in California e la carriera di Garrett comincia a decollare, a New York però...
cos`e` che in un film horror "funziona" veramente? come si costruisce la tensione? come si fa a impedire allo spettatore di staccare gli occhi dallo schermo, tenendo ben vivo in lui il sentimento della paura? introdotto da brian yuzna e arricchito da un`interessante storia sull`evoluzione del genere - e corredato inoltre dall`analisi della scaletta di un film attualmente in lavorazione -, "scrivere horror" risponde efficacemente e in modo puntuale alle domande e ai dubbi di ogni aspirante sceneggiatore del brivido. i temi fondamentali, le strategie narrative, gli elementi cardine della struttura di una sceneggiatura, la costruzione della trama, dei personaggi e del dialogo: attraverso il costante confronto con il cinema "classico", l`autore evidenzia le caratteristiche peculiari dell`horror e della sua scrittura, dando suggerimenti, svelando segreti e fornendo gli strumenti per mettere rapidamente in pratica le conoscenze acquisite.
"a mark twain piaceva immaginare paradisi. gli servivano, naturalmente, per dare sfogo al suo spirito beffardo, che non risparmiava niente e nessuno: ne` angeli, ne` santi, ne` fanti, ne` generali, patriarchi, profeti, predicatori, arcipreti, amici, nemici e nemmeno lo stesso mark twain. a mark twain i paradisi servivano per pensare in grande. per divertimento, naturalmente, per dare sfogo alla fantasia: per immaginare quelle enormi comete degli spazi extrasolari, e tutti quei soli, e quegli oceani di tenebre tra un sole e l`altro." (dall`introduzione di maria turchetto)
