
troppo a lungo si e` detto che il novecento musicale si muoveva fra due poli schoenberg e stravinskij -, finche` (in anni piuttosto recenti) non ci si e` resi conto della presenza di un terzo incomodo: richard strauss. incompreso dai fedeli della nuova musica e reo di troppo successo, strauss di fatto percorse per tutta la vita - e fino agli estremi, prodigiosi "vier letzte lieder" - vie non meno audaci, ma piu` nascoste, dei due teologi nemici della drammaturgia adorniana. dotato di una "imperterrita capacita` di assimilazione stilistica" e contraddistinto dall`invidiabile "abitudine di non sbagliare (quasi) mai", strauss tocco` nella sua carriera, condotta con accortezza d`imprenditore, tutte le capitali dell`impero musicale austrotedesco (da monaco a vienna, da bayreuth a berlino a dresda), meritandosi il nomignolo, coniato dal kaiser, che da` il titolo a questo libro: hofbusenschlange - serpe in seno, si`, ma di corte. e fu capace, grazie al dominio "di tutte le tecniche, incluse le truffaldine", ora di blandire il gusto del pubblico, ora di scandalizzarne il perbenismo. mario bortolotto ci guida in ricognizione attraverso i pezzi strumentali, i lieder, i poemi sinfonici, e soprattutto le opere: dai tentativi giovanili ai piu` noti capolavori alla "parlante inattualita`" delle ultime composizioni.

spesso e` stato detto che l`"arte della figura" di bach sarebbe un raggiungimento supremo della musica: castaldi spiega qui cio` che viene definito il "terzo stile" di bach. in una successiva dimostrazione rivela come la proposizione di debussy "il piacere e` la regola" abbia "una portata incalcolabile", in quanto "si contrappone innanzitutto alla glorificazione del dolore e della sofferenza, intesa come pedaggio per l`accesso alle zone empiree della nobilta` dello spirito." e, in chiusura, una ripresa: l`autore ripropone una prospettiva anti-adorniana su strawinskij, gia` affrontata nel testo "in nome del padre".

marc fumaroli, storico ma anche arguto chroniqueur, traccia della polemica che contrappose antichi e moderni a partire dal seicento un`immagine viva e articolata, dando conto non soltanto del dibattito culturale attorno alla lingua, la poesia, il teatro, la scienza, l`arte, la musica, ma anche dei complessi legami che s`intrecciavano tra i letterati di entrambi i partiti, fra questi e la societa` mondana del tempo, fra questi e il potere politico.

a piu` di un trentennio dall`uscita del suo libro capitale, il filosofo e antropologo francese riassume e proietta in avanti i fondamenti della propria visione in un testo composito il cui cuore pulsante e` una serrata intervista con maria stella barberi. il testo risponde a obiezioni che vengono da tempo rivolte all`autore, trattando argomenti poco affrontati nei precedenti scritti. tra questi, spicca l`analisi del terrorismo considerato come conflitto mimetico o l`esplorazione del cosiddetto "etnocentrismo" della cultura occidentale. non privo di punte polemiche - la piu` acuminata contro le`vi-strauss - questo volume rappresenta per girard un modo di fare il punto sullo stato attuale delle ricerche che lo impegnano da piu` di quarant`anni.

il primo e piu` celebre tentativo di chiarire i motivi profondi che sono alla base di un fenomeno che sembra superare le capacita` di comprensione umana: i campi di concentramento nazisti.


louisiana, 1927. una pessima fama circonda la dimora che il commodoro hobart, defunto miliardario con la passione per i tesori nascosti, si e` fatto costruire tra le paludi di new orleans: nientemeno che un immenso castello inglese di epoca tudor trasportato direttamente dal vecchio continente. comunque sia, david e serena hobart, nipoti ed eredi del commodoro, non si fanno intimorire da dicerie e credenze, ne` tanto meno da storie di fantasmi e presenze sovrannaturali, e decidono di riaprire il maniero per cercare un antico tesoro di pirati che hobart vi avrebbe nascosto. non sanno che la notte che trascorreranno tra quelle mura sinistre sara` molto, molto lunga...


dopo gli ultimi grandi teorici, da keynes a sraffa, la teoria economica sembra essersi irrigidita in un`ortodossia che pochi vogliono mettere in questione. da una parte si applicano tecniche di analisi sempre piu` sofisticate, dall`altra si da` per scontato che l`era delle grandi proposte teoriche sia chiusa per sempre. ma la dottrina economica, se ha provato in questi anni, al livello empirico, di non riuscire a prevedere alcunche` dei processi in corso, ha anche mostrato, al livello speculativo, di usare come elementi indiscutibili categorie che sono invece peculiari concrezioni storiche. c`e` dunque del marcio nel regno degli economisti... pubblicato per la prima volta nel 1989, questo libro di alvi, per la sua incisivita` polemica, ha fatto molto discutere. qui, infatti, non solo si svela la pochezza e l`inadeguatezza di una certa impostazione dominante del pensiero economico, che continua pervicacemente a proporsi come "un`imitazione fallita delle scienze naturali", ma si rivelano altre vie di quel pensiero che erano state abbandonate frettolosamente e oggi potrebbero tornare a essere preziose, si tratti della scuola storica tedesca o di sombart, di polanyi o di veblen, di simmel o di sorokin, di perroux o di adriano olivetti (del quale viene rivendicata, con argomenti nuovi, l`esperienza di comunita`). e la trattazione e` sinuosa, aforistica, intrecciata con quei fatti della storia e della cultura che gli economisti ortodossi sembrano dilettarsi a ignorare.

e accaduto, e sta accadendo nei nostri anni, che l`europa, proprio nel momento in cui giungeva alle soglie dell`unita` politica ed economica, si scoprisse in preda a spinte opposte, centrifughe, a resistenze di ogni tipo - teoriche e pratiche - come se il segno dell`unita` fosse innanzitutto in questo acuto sentimento di crisi. come si spiega tutto cio`? nietzsche scrisse una volta che l`europa e` un malato, anzi un malato incurabile. e da qui prende le mosse l`itinerario di cacciari.

dopo la "geo-filosofia dell`europa", che tracciava il profilo di quella singolare figura a cui, sin dall`inno omerico ad apollo, fu dato il nome di europa, cacciari si inoltra ora nel paesaggio europeo, che gli si mostra appunto come arcipelago, irriducibile pluralita` dove i singoli elementi convivono in quanto inevitabilmente separati. e le isole dell`arcipelago sono le declinazioni d`europa: in molte forme ha combattuto se` in se stessa, ma comune e` l`interrogazione. percio` anche il suo declino, o il suo necessario tramonto, assumera` nomi diversi. il senso del tramonto d`europa dovra` contrarsi nei volti dello "homo democraticus" di tocqueville, dell`"ultimo uomo" di nietzsche, dell`"uomo del sottosuolo" di dostoevskij? il senso del tramonto dovra` arrestarsi sul meridiano dell`affermazione inospitale della propria `insularita``, dell`empia commistione tra `anarchica` richiesta di autonomia ed esigenza servile di protezione e tutela? l``ideale` del gregge che non tollera alcun pastore sara` l`ultima parola del tramonto d`europa, la sua ultima declinazione? queste sono le domande poste al centro di l`arcipelago. e la figura stessa dell`arcipelago invita a una possibile risposta.