
nell`estate del 1851, rimasto solo con il figlio di cinque anni, hawthorne si ritrova di fronte a un infaticabile produttore di parole e di domande. schivo, introverso, non e` abituato alle piccole incombenze che accompagnano la vita di un bambino: vestirlo, nutrirlo, distrarlo sempre rispondendo alle sue incessanti domande. il risultato e` un modello, ironico e autoironico, del modo di intendersi di un padre e un figlio, un resoconto di un rapporto dove l`unico adulto che appare e` herman melville che fa visita all`amico per parlare del possibile e dell`impossibile. come osserva paul auster nel suo saggio introduttivo, hawthorne e` riuscito a compiere quel che ogni genitore sogna: far vivere il proprio figlio per sempre.

un colpo di pistola chiude la vita di un ricco imprenditore tedesco. e un incidente? un suicidio? un omicidio? l`esecuzione di una sentenza? e per quale colpa? la risposta vera e` un`altra: e` una mossa di scacchi. dietro quel gesto si spalanca un inferno che ha la forma di una scacchiera. risalendo indietro, mossa per mossa, troveremo due maestri del gioco, opposti in tutto e animati da un odio inesauribile che attraversano gli anni e i cataclismi politici pensando soprattutto ad affilare le proprie armi per sopraffarsi. che uno dei due sia l`ebreo e l`altro sia stato un ufficiale nazista e` solo uno dei vari corollari del teorema.

lo scenario si apre su una scena ormai sorprendentemente esotica: la germania di fine ottocento, con la sua opulenza terriera e finanziaria, le aspre tensioni sociali, il presagio di una catastrofe lontana ma gia` palpabile e, in particolare, su tre famiglie, unite da divergenti tradizioni aristocratiche e separate da irreali visioni del futuro. la prima e` costituita da solidi "rentiers" ebrei di berlino, nel cuore del nord prussiano e protestante; le altre due appartengono "a realta` discordi del sud cattolico: l`una sonnolenta, rurale, volta al passato; l`altra ossessionata da sogni ecumenici di dimensioni europee". a unirle provvederanno due matrimoni e uno scandalo.

quando nel 1949, il gornalista, poeta e critico d`arte inoue yasushi pubblica il suo primo romanzo ha quarantadue anni. in quest`opera l`autore trova nella brevita` una misura ideale e, nell`oscillazione tra il detto e il non detto, raggiunge un miracoloso equilibrio narrativo. un equilibrio difficile e impervio come il gioco amoroso che tiene legati i destini dei quattro personaggi, un uomo e tre donne, e che li accompagna nel corso degli anni senza mai turbare la calma ritualita` delle loro esistenze. eppure il romanzo e` attraversato da una tensione costante, da una rabbia sorda e trattenuta che esplode alla fine, quando ogni menzogna viene svelata, ogni passione consumata e a regnare e` la consapevolezza che ogni essere e` abitato da una vita segreta.

il ticchettio della macchina da scrivere, per giorgio manganelli, nasce "dai capricciosi amori di un cembalo estroso e di una mite mitragliatrice giocattolo". non e` un caso, dunque, che i suoi corsivi posseggano sia un`incessante mutevolezza di melodie e fraseggi (ossia di temi e linguaggi) sia una tonalita` ironico-umoristica percorsa da nere venature malinconiche. i punti di partenza (le "arie" su cui improvvisare) sono spesso un minimo fatto di cronaca, una polemica frivola, un provvedimento ministeriale bizzarro. in ogni passaggio queste improvvisazioni sono anche inversioni, capovolgimenti del senso comune, dove la quotidianita` si eleva a dimensione fantastica e i massimi sistemi slittano in una dimensione grottesca e prosaica.

quando la protagonista ("la donna") parte per asmara, sa solo che va a fare una visita a un vecchio amico vagamente innamorato di lei che insegna nel liceo italiano ("il ragazzo che aspetava qualcosa"), un modo come un altro per sfuggire all`orrore delle feste di fine anno. appena sbarcata in eritrea le apparira` dinanzi "il soldato": di lui si innamorera` e a causa sua si trovera` a vivere una vicenda che la fara` passare dall`esaltazione della passione amorosa al tormento dell`abbandono, e la conclusione sara` sorprendente.

ad amici e seguaci schopenhauer non aveva nascosto l`esistenza di un vademecum gelosamente custodito che era solito chiamare "eis heauton". dopo la sua morte molti tentarono di ritrovare quelle preziose carte. l`esecutore testamentario, wilhelm von gwinner, dichiaro` di averle distrutte per volonta` dello stesso schopenhauer. in realta`, prima di ricorrere al fuoco, le aveva utilizzate per scrivere una biografia del filosofo nella quale gli specialisti non tardarono a riconoscere passi, letteralmente citati, tratti da quelle pagine inedite, tanto che fu possibile ricostruire per congettura il testo originale. questo libro segreto consisteva probabilmente in una trentina di fogli fitti di annotazioni autobiografiche, ricordi, riflessioni, massime, citazioni.
il mulino di amleto e` uno di quei rari libri che mutano una volta per tutte il nostro sguardo su qualcosa: in questo caso sul mito e sull`intera compagine di cio` che si usa chiamare "il pensiero arcaico". cresciuti nella convinzione che la civilta` abbia progredito "dal mythos al logos", ci troviamo qui di fronte a uno sconcertante spostamento di prospettiva: anche il mito e` una "scienza esatta", dietro la quale di stende l`ombra maestosa di ananke, la necessita`. anche il mito "opera misure", con la precisione spietata: non gia` le misure di uno spazio indefinito e omogeneo, bensi` quelle di un tempo ciclico e qualitativo, segnato da scansioni scritte nel cielo, fatali perche` sono il fato stesso.

nel 1995, naipaul torna dopo circa vent`anni in quattro paesi sconvolti in diversa misura dal trionfo dell`islam. in indonesia, un`antica societa` pastorale ha lasciato il posto a una teocrazia governata dai grattacieli di giakarta, dove i nuovi manager si genuflettono alla mecca, ma senza perdere d`occhio l`andamento dei corsi nazionali. in iran, l`ayatollah khalkhalli e` agli arresti domiciliari, mentre nella sua qom ogni furore iconoclasta appare spento. in pakistan, l`oro saudita con cui il presidente zia e` andato al potere e` servito essenzialmente a far scatenare faide tribali. intanto in malesia, la gioventu` islamica fa proseliti, vaticinando per la nazione un futuro da grande potenza del sud-est asiatico.



il battesimo del mare, il tabu` delle scarpe a bordo, le origini del gran pavese, l`evoluzione della barca, dai tronchi alle petroliere, i proverbi e i modi di dire legati alla vita marinaresca. sulle onde della tradizione e delle consuetudini della gente di mare, giovanni caputo racconta aneddoti, curiosita` e storie che hanno come protagonisti marinai, pescatori e maestri d`ascia che, con la loro esperienza e la loro dedizione, hanno tramandato, per lo piu` oralmente, rituali e comportamenti legati spesso a superstizioni e a credenze animiste. il rapporto uomo-barca-mare e` carico di fascino e mistero e nasconde una vera e propria forma di amore, cosi` forte e speciale che coinvolge tutti i marinai, al di la` del tempo e della modernita`. brillanti motti e avvincenti racconti emergono dai flutti e dalla corrente lungo le rotte solcate prima da robuste navi di legno e poi dalle gigantesche navi dei nostri giorni. nel tempo nulla cambia: l`uomo da sempre cerca di instaurare un forte e autentico legame con il mare e con i suoi segreti.


il 24 dicembre 1828 carlo felice "per grazia di dio re di sardegna, di cipro e gerusalemme" decreta la costituzione di "un nuovo reggimento di dragoni... il quale portera` il nome di "dragoni di piemonte"". e l`atto di nascita del piu` decorato reggimento di cavalleria italiano, la cui storia e` stata ricostruita in questo libro attraverso documenti d`archivio e testimonianze. dalle guerre di indipendenza alla campagna di libia e poi ai fronti della grande guerra (i lancieri combatterono nell`epica battaglia di pozzuolo del friuli e a vittorio veneto) per arrivare fino alla campagna di russia, nel secondo conflitto mondiale. nel dopoguerra questo reggimento venne trasformato in unita` corazzata.







l`opera del grande scrittore abruzzese e` stata approfondita da chi ha dedicato molta parte dei propri studi a flaiano, cercando di cogliere nella sua produzione letteraria la viva vena satirica e l`amaro senso del grottesco che contraddistinguono anche le sue sceneggiature per il cinema e i suoi lavori per il teatro.