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gian carlo fusco era un personaggio indimenticabile in vita: irrefrenabile, ammaliatore, generoso di se` fino alla dissipazione, alla stregua di quei malati di vagabondaggio, inimmaginabili vecchi, che non possono fermarsi senza essere sopraffatti dalla tristezza. in quanto scrittore era un grande raccontatore di storie euforiche e portatrici misteriosamente di tenaci malinconie perche` tratte dal suo sconfinato bacino di esperienza vissuta. questo libro e` la storia, dichiaratamente autobiografica, di una stagione con l`amico bubu`, un marsigliese ai limiti della mala, compagno di sbronze e di nottate. con lui decidono di trasferirsi da milano alla roma della dolce vita in cerca di una diversa fortuna.

l`inquieta teresa uzeda e` l`aristocratica siciliana che molti hanno definito la madame bovary italiana. come flaubert, de roberto si cala nei turbamenti giovanili di una donna e nelle sue adulte disillusioni, spiandone da vicino umori, infelicita` e capricci. colei che sara` la vera protagonista assente dei vicere`, il cui spirito aleggera` sulle vicende della famiglia uzeda e sulla storia d`italia, e` qui ritratta dall`infanzia alla maturita`, sullo sfondo di una sicilia aristocratica e patriarcale. saranno strappi e fallimenti, nel loro succedersi, a scandire la vita di teresa e il ritmo del romanzo: l`agognata luna di miele, con un marito che non ama, chiudera` la stagione dei sogni adolescenziali; la partenza per raggiungere l`amante, sfidando lo scandalo, diventera` il momento del radicale disinganno, fino all`inevitabile conclusione che "tutta l`esistenza umana si risolve in una illusione".

nel momento in cui la storia siciliana si fa storia italiana, de roberto affonda con gelido distacco il suo bisturi nel "decadimento fisico e morale di una stirpe esausta", e se ne serve per rappresentare la cancrena di un`intera nazione. il racconto si svolge tutto fra un testamento e un comizio: il primo apre il romanzo, testimoniando l`antico familismo feudale, il secondo lo chiude, dando voce alla mistificazione risorgimentale, al trasformismo, alla demagogia della nuova politica. saranno le parole dell`ultimo erede della famiglia a segnare la pace fatta tra vecchio e nuovo: "ora che l`italia e` fatta, dobbiamo fare gli affari nostri". prefazione di giovanni sabbatucci.

siamo noi la "gente di corsa" alla quale tiziano rossi ha dedicato questo suo libro ricco di risonanze interne, con accordi ed echi quasi musicali. per ogni pagina due quartine appaiate, dedicate ciascuna a una persona, identificata con una iniziale (i bambini che popolano la prima e l`ultima sezione, che vale come nuovo inizio), un nome (i giovani) o un cognome (gli adulti e gli anziani). una scheggia di vita, un`emozione colta al volo, un`immagine rubata con la coda dell`occhio, in cui e` possibile afferrare il riflesso di un`intera esistenza.

l`aspetto piu` evidente dell`esperienza poetica di bandini e` la costante e libera ricerca di una personale lingua poetica: dall`italiano di sonetti e canzoni al latino al dialetto materno. e tuttavia questa poesia, con il suo tessuto misurato e preciso, in apparenza semplice e piano ma in realta` sofisticatissimo nell`intreccio di toni e ritmi, non e` riducibile a un esperimento formalistico o a un ripiegamento arcadico. costantemente sottesa dalla consapevolezza della fine di un`epoca, e forse di un evo, essa appare venata di nostalgia e insieme animata dall`attesa di un futuro incommensurabile.

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