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Han Kang, con il terso, spietato lirismo della sua scrittura, scruta tante vite dilaniate, racconta oggi l’indicibile, le laceranti dissonanze di un passato che si voleva cancellato.

chi abbia letto anche solo una pagina, o una poesia, di ingeborg bachmann non puo che essere rimasto colpito dalla sua audacia nell?affrontare la violenza e il dolore - giacche a farci aprire gli occhi e proprio "quello stato lucido e straziante in cui il dolore diventa fecondo" - e nell?assecondare con tenacia la tensione che ci spinge "verso l?assoluto, l?impossibile, l?irraggiungibile". ne avra ora conferma negli scritti qui radunati: che ci parli degli autori che venerava (musil, kafka, plath, bernhard), di roma che le ha insegnato "ad andare d?accordo con gli altri", di maria callas, del tractatus di wittgenstein o del destino della poesia, bachmann non viene mai meno al compito che si e assegnata: fare della letteratura uno strumento di conoscenza - al punto da incarnarla dolorosamente: "io esisto soltanto quando scrivo, quando non scrivo non sono niente" -, incoraggiare alla verita e pretenderla da se. solo cosi sara possibile annientare le frasi fatte e conquistare "l?unico, l?irripetibile": quelle parole cristalline che affiorano di quando in quando in una pagina di prosa o di poesia. una postura ardita, inflessibile, di cui troviamo la piu precisa definizione nel ritratto di gombrowicz che e anche un ritratto di se stessa: "se devo pensare a qualcuno che abbia un cuore, mi verra sempre in mente g. ... era una persona che apertamente incuteva timore; non lo e mai stato per me, perche io non voglio che l?orgoglio e un certo modo di atteggiarsi scompaiano dal mondo".

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