


presentando questo lavoro, croce scrisse che si trattava dello "schizzo di una storia dell`italia dopo la conseguita unita` di stato", concepito come "tentativo di esporre gli avvenimenti nel loro nesso oggettivo e riportandoli alle loro fonti interiori". ma scoprire il nesso oggettivo in quei quarantacinque anni fra il 1871 e il 1915, significava coglierne la relazione con gli anni del risorgimento e proiettare la storia italiana sulla scena dell`europa moderna. proprio perche` coinvolge l`identita` stessa della nazione italiana, quest`opera e` forse la piu` discussa fra le grandi opere storiche del filosofo abruzzese, quella che ha esercitato la piu` vasta influenza sulla visione che generazioni di italiani si sono formati sulla propria storia.



per mestiere, un anatomopatologo e` costretto a vedere, della vita e della morte, molti aspetti che generalmente spaventano o si ignorano - o comunque si respingono nell`aberrante e nel paradossale. gonzalez-crussi, discendente moderno di sir thomas browne o di francesco redi, cioe` di quei medici che sapevano divagare su tutto in ottima prosa e con gesto amabile, ci guida in questi saggi fra molti temi di cui poco sappiamo e che molto ci incuriosiscono. per esempio l`imbalsamazione; o lo strano caso di due gemelle ungheresi attaccate per il bacino che si presentano a un ospedale vittoriano perche` una di loro e` incinta, anche se entrambe si proclamano vergini; o l`autopsia di un gigantesco boscaiolo, empiamente tatuato e crivellato da mezzo chilo di piombo, al quale aveva ben resistito, mentre a ucciderlo era stato un minuscolo verme lungo meno di tre millimetri; o i mostri. raccontando questi strani casi o divagando su temi clinici ben poco usuali, gonzalez-crussi mostra sempre la dote principe dello scienziato scrittore che abbia il dono dell`ironia e della prosa: suscitare stupore e invitare alla riflessione.

















opera filosofica e poetica composta tra il 1883 e il 1885. in quest`opera le idee del "superuomo" e dell`"eterno ritorno" raggiungono una forma compiuta. dopo dieci anni di solitudine zarathustra sente il bisogno di donare agli uomini la sua sapienza, ma il popolo distratto ride delle sue parole. dovra` cosi` cercarsi dei discepoli cui indirizzare i suoi discorsi. tema dei discorsi e` la ribellione alla cultura e alla morale dominanti e la visione della vita come forza indomabile e della volonta` come strumento di affermazione. agli elementi polemici sono inframmezzati brani poetici (canti e canzoni) di grande bellezza. molteplici le fonti stilistiche, la bibbia, le poesie di goethe, la prosa di lutero, gli aforismi dei moralisti francesi.


chi e` siddharta? e uno che cerca, e cerca soprattutto di vivere intera la propria vita. passa di esperienza in esperienza, dal misticismo alla sensualita`, dalla meditazione filosofica alla vita degli affari, e non si ferma presso nessun maestro, non considera definitiva nessuna acquisizione, perche` cio` che va cercato e` il tutto, il misterioso tutto che si veste di mille volti cangianti. e alla fine quel tutto, la ruota delle apparenze, rifluira` dietro il perfetto sorriso di siddharta, che ripete il "costante, tranquillo, fine, impenetrabile, forse benigno, forse schernevole, saggio, multirugoso sorriso di gotama, il buddha, quale egli stesso l`aveva visto centinaia di volte con venerazione". siddharta e` senz`altro l`opera di hesse piu` universalmente nota. questo breve romanzo di ambiente indiano, pubblicato per la prima volta nel 1922, ha avuto infatti in questi ultimi anni una strepitosa fortuna. prima in america, poi in ogni parte del mondo, i giovani lo hanno riscoperto come un loro testo, dove non trovavano solo un grande scrittore moderno ma un sottile e delicato saggio, capace di dare, attraverso questa parabola romanzesca, un insegnamento sulla vita che evidentemente i suoi lettori non incontravano altrove.





questa , che attraversa gli scritti di henri michaux da "chi fui" (1927) al "giardino esaltato" (1983), e` stata composta dall`autore su richiesta dell`editore italiano. per chi ancora non conosce michaux, sara` questa la perfetta guida alla sua opera; per chi lo conosce, sara` un libro nuovo, ricco di sottili rivelazioni, quello in cui michaux ha voluto illuminare se` a se stesso, e a tutti noi. tutta l`opera di michaux risponde a una domanda che non riusciamo a formulare, eppure sentiamo essenziale. col tempo, i suoi scritti si dimostrano sempre piu` nettamente insituabili, come gia` lo erano quando cominciarono ad apparire, nella parigi degli anni venti. possono presentarsi come racconti, poesie, riflessioni, esorcismi, dialoghi, aforismi, visioni: ma ogni volta li sentiamo evadere dal quadro di una forma preesistente. ed e` questa una peculiarita` costante di questo scrittore, che ha con la `letteratura` rapporti di acuminata diffidenza. i suoi paesaggi sono sempre altrove, in un tibet dell`anima. ogni libro di michaux e` il resoconto di un`esplorazione, che ama calarsi nelle , ma si azzarda anche a perdersi nella sterminata vastita`. nelle sue pagine troviamo tracciati, con la precisione cerimoniale di un calligrafo cinese, innumerevoli , soprattutto quelli che non hanno piu` un nome o non l`hanno mai avuto. ciascuno di questi movimenti e` una breccia fra il visibile e l`invisibile. i testi sono le macerie di quelle . ogni racconto e` l`accenno di una metamorfosi. dice una voce di michaux, e prosegue:




























se la narrativa, il teatro e il cinema anglosassoni ci hanno abituato all?archetipo della zitella, non ci hanno mai, forse, consegnato un personaggio disturbante quanto lise, la protagonista stranita e dolente di questo thriller metafisico, che sembra trascinare il lettore in una quest tanto insensata quanto ineludibile. sovvertendo con abilita e prosaica freddezza lo schema del giallo, muriel spark ci svela in anticipo l?epilogo, spostando il mistero dagli eventi al motivo che li scatena, e nel farlo ci offre la raggelante esplorazione di una follia che precipita in una vertiginosa spirale. soltanto alla fine si chiarira l?oggetto della ricerca di lise, e i segnali disseminati lungo la storia, in apparenza frutto di una mente incoerente, acquisteranno allora un senso, componendosi nella logica allucinata del delirio e dell?autodistruzione. immersa in una luce livida, stridente come gli accostamenti cromatici prediletti da lise, convulsa e claustrofobica insieme, questa crime story non potra che stregare il lettore, ispirandogli pagina dopo pagina "paura e pieta, pieta e paura".

il 9 marzo 1941, su consiglio del suo terapeuta julius spier, esther hillesum comincia ad affidare a un quaderno il doloroso tumulto dei suoi pensieri - la sua "costipazione spirituale", come la definisce con pungente humour. non si conoscono suoi scritti anteriori a questa data, fatta eccezione per una lettera del 1936 all?amica pim. il 7 settembre 1943 etty salira con i genitori e il fratello mischa su un convoglio diretto ad auschwitz-birkenau, immane citta di schiavi, e di lei si perdera ogni traccia. il folgorante diario di quei due anni, 1941-1942, sembra insomma esaurire la sua intera esistenza, quasi fosse il residuo di un rogo - o di un sacrificio. non c?e un prima e non c?e un dopo. eppure nel 1941 etty aveva ventisette anni. chi era davvero? o, per meglio dire, chi era stata prima che l?incontro con spier la facesse rinascere? interrogando instancabilmente innumerevoli documenti, testimonianze, carteggi, alberi genealogici e album di famiglia, judith koelemeijer e riuscita a colmare il vuoto che circonda il diario, a dargli uno sfondo: a far luce sulla famiglia di etty - "strepitoso miscuglio di barbarie e alta cultura" ed epicentro di un sisma psichico che travolgera, oltre a lei, i fratelli jaap e mischa -, sugli studi universitari di diritto e sulla passione per la letteratura russa, sulla vasta rete di amicizie, sui molteplici, spregiudicati legami sentimentali ("ho spezzato il mio corpo come se fosse pane e l?ho distribuito agli uomini"), sulla sofferta decisione di lavorare alle dipendenze del consiglio ebraico nel campo di westerbork, dove vengono ammassati gli ebrei destinati alla deportazione e dove puo sentirsi parte di un destino collettivo che occorre accettare: "essere presenti con tutto il cuore", questo solo conta.

chi conosce lovecraft come l?allampanato maestro del mostruoso, autore di una scarna opera che ha segnato la narrativa horror e lasciato un?impronta indelebile su tutti i successori, deve prepararsi a una grossa sorpresa: dopo la sua morte si e rivelato uno dei piu copiosi epistolografi di ogni tempo. e quasi un?altra persona. gli amici, che hanno conservato le sue lettere, ne ricaveranno una scelta di circa un migliaio raccolte in cinque volumi, ma l?intero corpus pare ammonti ad almeno centomila, scritte tra i venti e i quarantasette anni, e diventate, nell?ultima stagione, un?occupazione a tempo pieno. come rendere l?idea di una corrispondenza di tali spropositate dimensioni? non restava che prendere una sola lettera, la piu lunga, e consegnarla al lettore in forma di libro. si scoprira cosi l?universo quotidiano di lovecraft, ben lontano da quello che traluce dai racconti, e un uomo totalmente diverso: sobrio, pacato, pieno di troppo sano buon senso - l?altra faccia della sua follia - da offrire all?ignoto destinatario, che gia dalla prima pagina scompare. come un serial killer che alla fine di una lunga giornata, dal suo buen retiro di providence, ci indottrina sulle grandi epoche storiche, loda la compagnia e la natura, e da critico sempre acuto e rassegnato dell?eta moderna ci fa i suoi migliori auguri per l?avvenire.

quando alla fine della seconda guerra mondiale john von neumann concepisce il maniac - un calcolatore universale che doveva, nelle intenzioni del suo creatore, "afferrare la scienza alla gola scatenando un potere di calcolo illimitato" -, sono in pochi a rendersi conto che il mondo sta per cambiare per sempre. perche quel congegno rivoluzionario - parto di una mente ordinatrice a un tempo cinica e visionaria, infantile e "inesorabilmente logica" - non solo schiude dinanzi al genere umano le sterminate praterie dell?informatica e dell?intelligenza artificiale, ma lo conduce sull?orlo dell?estinzione, liberando i fantasmi della guerra termonucleare. che "nell?anima della fisica" si fosse annidato un demone lo aveva del resto gia intuito paul ehrenfest, sin dalla scoperta della realta quantistica e delle nuove leggi che governavano l?atomo, prima di darsi tragicamente la morte. sono sogni grandiosi e insieme incubi tremendi, quelli scaturiti dal genio di von neumann, dentro i quali labatut ci sprofonda, lasciando la parola a un coro di voci: delle grandi menti matematiche del tempo, ma anche di familiari e amici che furono testimoni della sua inarrestabile ascesa. ci ritroveremo a los alamos, nel quartier generale di oppenheimer, fra i "marziani ungheresi" che costruirono la prima bomba atomica; e ancora a princeton, nelle stanze dove vennero gettate le basi delle tecnologie digitali che oggi plasmano la nostra vita. infine, assisteremo ipnotizzati alla sconfitta del campione mondiale di go, lee sedol, che soccombe di fronte allo strapotere della nuova divinita di google, alphago. una divinita ancora ibrida e capricciosa, che sbaglia, delira, agisce per pura ispirazione - a cui altre seguiranno, sempre piu potenti, sempre piu terrificanti. con questo nuovo libro, che prosegue idealmente "quando abbiamo smesso di capire il mondo", labatut si conferma uno straordinario tessitore di storie, capace di trascinare il lettore nei labirinti della scienza moderna, lasciandogli

quando si varca la soglia di una delle storie costruite, con abilita diabolica, da boileau e narcejac, si prova sempre una lieve inquietudine - che pero, com?e ovvio, fa parte del piacere della lettura. sappiamo, infatti, che verremo trascinati in un gioco perverso e saremo le consapevoli e appagate vittime di quei due temibili creatori di angosciosa suspense, capaci come pochi altri di tenerci inchiodati alla pagina cosi come di infliggere un tormento dopo l?altro ai loro protagonisti. che sono sempre, a ben vedere, uomini - in genere irresoluti, inconsistenti, spesso infantili - che si ritrovano prigionieri di un ingranaggio infernale, al quale, per quanto si dibattano, non riescono a sfuggire. e che, soprattutto, a poco a poco smarriscono la capacita di percepire la differenza tra la realta e le proprie farneticazioni. e quale sentimento umano si presta meglio a mettere in moto un delirio se non la gelosia? sara appunto la gelosia, una gelosia furibonda, autoalimentata, incontrollabile, a condurre all?omicidio il protagonista dei vedovi - titolo che solo alla fine del romanzo svelera il suo ambiguo significato. ma attenzione: l?omicidio non e che l?inizio - il bello deve ancora venire.

arrivato cinquant?anni prima dalla nativa alvernia senza un soldo in tasca, auguste mature, che muore, schiantato da un ictus, all?inizio di questo romanzo, e riuscito a trasformare il piccolo bistrot di rue de la grande-truanderie, dove andavano a bere un caffe corretto o a mangiare un boccone i lavoratori dei mercati generali - il "ventre di parigi", come li chiamava emile zola -, in un ristorante che, pur conservando i vecchi tavoli di marmo e il classico bancone di stagno, e ora frequentato dal tout-paris. gli e sempre stato accanto il figlio antoine, il quale, prima ancora che la camera ardente sia stata allestita, deve fare i conti - alla lettera - con il fratello maggiore, un giudice istruttore aizzato da una moglie arcigna, e con quello minore, un cialtrone semialcolizzato che millanta fumosi progetti immobiliari e sopravvive spillando soldi al mite, generoso antoine. lo stesso antoine contro cui ora si accanisce, sospettandolo di aver sottratto il testamento del padre e di volersi appropriare di un "malloppo" sicuramente nascosto da qualche parte. simenon, anche questa volta, si rivela magistrale nel mettere in scena un dramma familiare, portando alla luce, come lui solo sa fare, attriti, risentimenti, menzogne. sullo sfondo, l?imminente fine dell?universo - di facce, di odori, di rituali - dove i tre fratelli sono cresciuti: quelle halles che nel giro di pochi anni spariranno, insieme a un pezzo dell?anima della citta.

la consapevolezza della caducita dell?esistenza e una caratteristica esclusivamente umana, cosi come la capacita di elaborare strategie che affranchino dal pensiero ossessivo della morte. quelle concepite sinora - la resurrezione, il paradiso, la reincarnazione -, tuttavia, oggi non ci bastano piu, ne ci basta il pensiero di continuare a vivere attraverso la nostra discendenza biologica o le opere che lasciamo dietro di noi. resta un?unica opzione, un?idea folle che si sta trasformando in un preciso disegno: la conquista dell?immortalita grazie alla scienza. solo nell?ultimo decennio sono apparsi piu di trecentomila articoli sull?invecchiamento e l?estensione della vita, e oltre settecento aziende emergenti hanno investito complessivamente decine di miliardi di dollari nell?impresa. ma quanto e realistico tale mirabolante sogno? quali sarebbero le implicazioni etiche di trattamenti o manipolazioni volti ad aumentare indefinitamente la durata della vita? e quali le conseguenze sociali, economiche e politiche? domande incalzanti, e capitali - ora che la risonanza di queste ricerche e le aspettative, spesso illusorie, da esse suscitate sono al culmine -, alle quali ramakrishnan cerca di rispondere attraverso un?analisi approfondita della fisiologia dell?invecchiamento e delle tecniche allo studio per contrastarlo, gettando luce nel contempo sulla realizzabilita della piu avveniristica delle sfide: far si che "tutti muoiano giovani - dopo molto, molto tempo".

mentre da ogni parte vengono a cadere - o per lo meno oscillano pericolosamente - i presupposti di ogni legge, il pensiero tende sempre piu a concentrarsi, in ogni ambito, sulla legge stessa. e questa una condizione al tempo stesso originaria e cronica del moderno: qualcosa che sembra sempre succedere per l?ultima volta - e invece continua a succedere ogni giorno. massimo cacciari ha posto al centro di questo libro tale situazione paradossale e sfuggente, all?interno della quale tuttora viviamo. e, all?interno del nostro secolo, ha isolato, negli ambiti piu diversi - dalla riflessione matematica (brouwer) a quella giuridica (schmitt), dalla pratica letteraria (kafka) a quella pittorica (malevic, mondrian, klee), dal pensiero artistico (florenskij sull?icona) a quello religioso (rosenzweig) -, alcuni casi esemplari di quell?ostinato cozzare contro la stessa parola: legge. ma non si tratta qui di scoprire influenze nascoste o contatti. l?ambizione e ben piu radicale: ogni volta si individuano sconcertanti isomorfismi fra gesti di pensiero che appartengono a regioni lontane. e cosi anche repliche e opposizioni trasversali. si comincera dal contrasto irriducibile fra il nomos di carl schmitt, legato a un territorio e radicato in esso, e la legge di franz rosenzweig, che impone un perpetuo esodo ed esilio da tutto cio che e ancorato a una terra. in quel contrasto si danno gia i termini che risuoneranno poi in tutto il libro. ma il centro non puo che essere kafka. e qui, sottoponendo a un?analisi serratissima i testi (e soprattutto l?impianto stesso del processo e del castello), cacciari e riuscito in un?impresa davvero improbabile: dire qualcosa di nuovo su kafka. da questo centro si irraggiano le fila di altri capitoli, tesi ogni volta a mostrare di quali ordini, di quali straordinarie decisioni sia capace una condizione, come quella nostra, sottratta a ogni presenza e affermabilita della legge. questo libro segna l?ingresso in una regione dai confini oscuri dove il pri

nel 1952 nabokov viene invitato a tenere a harvard la seconda parte di un corso di storia della letteratura, che doveva di necessita prendere avvio dal don chisciotte. docente ormai sperimentato, ma sempre anomalo e temerario, nabokov si premura anzitutto di spiazzare il suo uditorio: liquida in fretta, non senza guizzi beffardi, quelle coordinate storico-letterarie e geografiche che qualsiasi probo universitario riterrebbe essenziali; ridimensiona l?importanza del don chisciotte, ascrivibile ai suoi occhi solo al protagonista, che "spicca cosi magnificamente sulla linea dell?orizzonte letterario"; e, ligio al suo compito di "guida ciarliera dai piedi stanchi", pilota imperiosamente i seicento studenti-turisti verso il clou della visita. vale a dire la fabbrica del romanzo, la sua architettura, indagata attraverso gli "espedienti strutturali" - dal riuso di vecchi romances ai vividi dialoghi, dal tema cavalleresco alle novelle interpolate - che ne garantiscono la coesione. con la feroce, minuziosa passione del detective e del filologo, nabokov si spinge fino a schedare i quaranta episodi in cui don chisciotte appare nelle vesti di cavaliere errante per calcolare il numero di vittorie e di sconfitte: esercizio tutt?altro che ozioso, visto che dal risultato - venti e venti, equilibrio perfetto - affiora il "senso segreto della scrittura". nient?altro, del resto, conta nelle questioni letterarie, nient?altro il buon lettore deve cogliere, se non "il misterioso fremito dell?arte".

"non ci troverete nulla. non c?e nulla in patagonia": il giudizio, lapidario, e di borges, e viene riportato da paul theroux in "ritorno in patagonia". che le cose non stiano proprio cosi lo ha dimostrato chatwin, offrendoci il ritratto vitale di una terra arida ma nient?affatto immobile, un luogo dove non e necessario mettersi alla ricerca di storie, perche sono le storie a venire da te. e lo conferma anche stefano faravelli, con questo carnet de voyage - "sintesi di visione e pensiero ... intrecciarsi di una partitura disegnata (o dipinta) con quella scritta" - dedicato alla sua esperienza a bordo dell?adriatica, salpata dal porto di ushuaia con l?intento di doppiare capo horn, ma sorpresa da una tempesta e costretta a trovare riparo sull?isola navarino, nel canale beagle. "una disavventura, piu che un?avventura", che pero non gli ha impedito di seguire la sua personalissima "via del taccuino". con il piglio curioso del viaggiatore esperto e l?attenzione maniacale ai particolari del naturalista, faravelli riesce nell?impresa di racchiudere in poche pagine l?infinitamente piccolo e lo sterminato, il presente e il passato. le venature sulla superficie di una conchiglia diventano cosi unita di misura e chiave di lettura dell?immensita dell?oceano, le rotte degli antichi navigatori si sovrappongono a quelle degli uccelli e dei delfini che seguono l?adriatica, il disegno si fonde con le parole, le carte nautiche con i francobolli. il risultato e una sorta di mappa mentale - qui fedelmente riprodotta -, come a suggerire che ci sono luoghi troppo estesi, e complessi, per essere rappresentati dalle mappe tradizionali.

"invettive musicali" e l?irriverente campionario di "giudizi prevenuti, ingiusti, maleducati e singolarmente poco profetici" che critici autorevoli ma non sempre cosi illuminati hanno espresso nei confronti di grandi compositori, da beethoven fino a copland. nessuno di loro e sfuggito al "rifiuto dell?insolito", o peggio, a quella cronica durezza d?orecchio che tanto spesso impedisce di riconoscere il bello in cio che e radicalmente nuovo. scopriamo per esempio, scorrendo le citazioni ritagliate dalle forbici erudite e affilate di slonimsky, che la musica di berlioz e simile "ai farfugliamenti di un grande babbuino", un americano a parigi "uno sproloquio... volgare, prolisso e inutile", mentre i cinque pezzi per orchestra di webern sono da considerare "significativi e sintomatici quanto un mal di denti". a brahms hanno dato dell?"epicureo sentimentale",a wagner dell?"eunuco demente", ad alban berg del "millantatore... pericoloso per la collettivita"; verdi e stato etichettato come un "signore italiano" autore di "tiritere per ottoni e piatti tintinnanti", liszt come "uno snob uscito dal manicomio", reger come "uno scarafaggio miope, gonfio... accovacciato su una panca d?organo". la condanna delle dissonanze e pressoche universale - a partire, nientemeno, da chopin -, e ogni novita e immancabilmente bollata come cacofonica: quella di bruckner e "polifonia impazzita", la mer di debussy diventa perfidamente "le mal de mer", e rachmaninov viene liquidato con un perentorio "mai piu!". l?irresistibile antologia di slonimsky si legge, dunque, come un?ilare antistoria della musica, "arte in progress" per eccellenza, sempre proiettata oltre se stessa, e oltre le regole e le comode certezze dei ?benascoltanti?.

seduta nelle tribune dell?aula di norimberga dove era in corso il processo contro gli "uomini di hitler", gitta sereny era rimasta colpita dalla compostezza esemplare di uno degli imputati. di quell?uomo che "ascoltava immobile e attento con il volto impassibile, a eccezione degli occhi scuri e intelligenti", sapeva solo che era albert speer, l?architetto e poi ministro degli armamenti del reich, nonche membro della cerchia piu stretta del fuhrer. trent?anni piu tardi, dopo aver letto "in quelle tenebre" - il libro-intervista che sereny aveva dedicato al caso del comandante di treblinka franz stangl -, speer decise di contattare l?autrice e di invitarla nella sua casa a heidelberg per ripercorrere con lei la sua storia. all?epoca, lui aveva scontato una lunga detenzione nel carcere di spandau, dove aveva scritto clandestinamente circa milleduecento pagine di riflessioni e memorie e aveva avviato, sotto la guida di un pastore calvinista ed ex membro della resistenza francese, l?ostinato e quasi maniacale tentativo di fare i conti con il proprio passato che lo avrebbe impegnato fino alla morte. lei veniva da anni di indagini sugli orrori della germania nazista e, incontrandolo di persona, percepi subito un?incongruenza tra il tono altezzoso, "autoritario e arrogante" dei mea culpa che fluivano "troppo prontamente" dalle labbra dello speer pubblico, e quell?uomo timido, dotato di humour e fascino, abitato da una profonda tristezza, che le parlava "con una strana inflessione interrogativa nella voce". catturata da un?ambivalenza tanto sconcertante, sereny si prefisse lo scopo di "comprendere albert speer", costruendo questa memorabile inchiesta basata sulle lunghe conversazioni che per molti anni intrattenne con lui, e spingendosi tanto a fondo nell?interrogazione del suo conflitto interiore da determinare una vicinanza che le costo numerose critiche - fu lei stessa una volta a definirlo senza difficolta "un uomo superiore", e si dovrebbe riflettere sul peso di questa a

immane atlantide sommersa, le quasi duemila pagine dei textos recobrados - recuperati e radunati dopo la scomparsa di borges - rivelano le molteplici linee di forza di una riflessione critica di sconcertante novita. rispetto ai fervori iconoclasti degli anni venti (documentati in il prisma e lo specchio, 2009), si colgono qui, gia a partire dai primi anni trenta, una tonalita e nuclei di pensiero e di interesse del tutto inediti: l?inconsistenza dell?io, giacche una persona "non e altro che ... la serie incoerente e discontinua dei suoi stati di coscienza" e "la sostanza di cui siamo fatti e il tempo o la fugacita"; la letteratura poliziesca, che riesce a conciliare "lo strano appetito d?avventura e lo strano appetito di legalita"; le immagini dell?incubo, "la tigre e l?angelo nero del nostro sonno", disseminate nella letteratura da wordsworth a kafka; il gaucho, "amato territorio del ricordo" e "materia di nostalgia"; il tramonto del concetto di testo definitivo, che "appartiene alla superstizione e alla stanchezza"; la rivelazione che buenos aires, un tempo oggetto di caparbie trasfigurazioni poetiche, puo essere descritta solo "per allusioni e simboli". ma quel che piu affascina e la perfetta architettura di questi scritti, capaci, quale che sia l?argomento prescelto, di espandere il nostro orizzonte (talora con un semplice inciso: "nel mondo immaginato da walpole, come in quello degli gnostici siriani e in quello di hollywood, c?e una guerra continua tra le forze del male e quelle del bene") e di ravvivare il dialogo fra due interlocutori che "lo scorrere del tempo avvicina e allontana, ma non separa": il testo e il lettore.

secondo studi recenti, una conseguenza imprevista del riscaldamento globale sarebbero turbolenze molto piu frequenti rispetto al passato, e soprattutto imprevedibili. nel mondo fisico puo essere vero oppure no, ma in questo romanzo di david szalay i dodici personaggi che da un capitolo all?altro si passano il testimone non sanno davvero cosa potra succedere, fra il terminal delle partenze e quello degli arrivi, ne che esito avra il loro disperato tentativo di fuga. e se i maschi di tutto quello che e un uomo avevano ancora un continente di terra e acqua in cui tentare di mimetizzarsi, sfuggendo alle proprie catastrofi interiori, gli uomini e le donne di "turbolenza" vivono in aria - come, sempre piu spesso, molti di noi. e, come molti di noi, sanno che dall?aria non si puo sperare di proteggersi: nell?aria, soprattutto, non si puo sperare di nascondersi.

intorno alla meta del novecento il chiurlo eschimese e stato dichiarato estinto. questo piccolo, in classificabile libro racconta l?odissea di uno degli ultimi esemplari, che a ogni primavera, mosso dall?istinto, dall?antartide fa rotta verso l?artide per accoppiarsi - e per garantire la sopravvivenza della specie. una condizione tragica, la sua, giacche mai ha conosciuto i suoi simili, sterminati per puro diletto a partire dall?ottocento. l?ultimo dei chiurli parte cosi per un viaggio che ha del miracoloso: patagonia, paraguay, honduras, messico, stati uniti, canada... supera catene montuose e vulcani, burrasche e tempeste di neve; copre migliaia di chilometri in pochi giorni, senza riposare ne sfamarsi; sorvola foreste, fiumi, laghi, paludi; si libra sull?oceano come sulle ande e sulla pampa. ma se finora ha sempre affrontato la spedizione da solo, questa volta ha la ventura di imbattersi in una femmina della sua specie, con cui involarsi verso il luogo da lui scelto per riprodursi: pochi contesi metri di terreno spoglio nel nord piu estremo. sempre che il destino, nei panni esecrabili dell?uomo, non si metta di traverso. al lettore non restera allora che accompagnarli, complice e rapito, nella loro perigliosa, irrinunciabile missione, sull?ala di una prosa che per audacia, anelito e resilienza sa essere all?altezza di quel volo prodigioso.

costretto a lavorare su un minuscolo scrittoio, il protagonista di "a tavolino" realizza che lo spazio e insufficiente "a qualunque libera espansione dell?intelletto" e che la redazione di testi "eterni e feraci" gli e ormai preclusa. eppure, ribadisce a se stesso, "ho da fare un articolo, e se non lo faccio i miei figlioletti rimangono desolati, famelici...". cosi, con feroce autoironia, landolfi mette in scena la sua condizione di elzevirista al soldo del "corriere della sera" e un?idea di letteratura sfrondata di ogni alloro, prigioniera di una gabbia coercitiva, ridotta alla funzione di gagne-pain. ma proprio nel loro carattere di scrittura ricondotta alla sua chimica essenza risiede il fascino di questi cinquanta elzeviri, perfetti congegni capaci di evocare incontri mancati, occasioni ignorate perche "il gelido soffio della disperazione" spazza via ogni speranza; di vivisezionare relazioni di coppia oblique, simili ad acerbi duelli o a una "benigna trama di nulla"; di rivelare, con la gelida efficacia dell?incubo, l?inconsistenza di cio che chiamiamo "io", di vanificare la fiducia nella ragione, di dar corpo alle nostre piu segrete paure: nello splendido il bacio, per esempio, l?invisibile creatura che ogni notte visita, imprimendogli un bacio sulle labbra, un timido e al principio deliziato notaio si rivela una falla "nel nero etere cosmico", decisa a succhiargli la vita. un incubo e del resto il nostro vivere quotidiano, assediato dal bisogno, dal vuoto, da un angoscioso "senso d?irrealta, di casualita" - dalla tragica consapevolezza che "la gente, quando non e noi, e odiabile perche non e noi; quando e noi, e odiabile perche e noi".

torna rosa matteucci, "impietosa, feroce cantatrice del "nonostante"", come la defini una volta carlo fruttero, accostandola ai mani di celine, beckett e thomas bernhard. questo nuovo romanzo, in bilico, come gli altri, sull?illusorio crinale fra comico e tragico, inizia con l?affannosa, tormentosa aspirazione di lei bambina a ricevere, come tutte le sue antenate e le sue simili, la prima comunione, per proseguire con la morte di un padre molto amato - sebbene molto scapestrato - e la sua sciamannata sepoltura. nella scrittura, straziata e al tempo stesso grottesca, di rosa matteucci diventa comico perfino il viaggio, non solo interiore, che tale morte suscitera, alla ricerca di quell?antico trascendente che il nostro tempo sembra aver smarrito: dall?india dei santoni ai pirenei di bernadette, dai gruppi di preghiera della soka gakkai a un?ardimentosa visita a un frate esorcista che, asserragliato in un eremo, vende messalini con audiorosario incorporato. un vagabondaggio che culmina con la scoperta del rito tridentino, dove imparera il protocollo delle genuflessioni, sempre rincorrendo una salvazione che pare rimessa in forse a ogni frase, a ogni respiro. sino alla definitiva consapevolezza che e necessario accettare, e forse anche amare, la propria croce.

queste lezioni - qui pubblicate in italiano per la prima volta sulla base degli appunti di alice ambrose e margaret macdonald - sono essenziali per comprendere l?evoluzione delle idee di wittgenstein, in particolare la lenta transizione dalla visione logicizzante del linguaggio che permeava il tractatus a quella pragmatico-antropologica che dominera le ricerche filosofiche. la vivida testimonianza del suo pensiero in divenire, tuttavia, non esaurisce i motivi d?interesse di queste pagine, che ci offrono anche un punto di vista privilegiato su temi cruciali - e ancora oggi controversi - della filosofia del linguaggio novecentesca, come la critica dell?identificazione del significato di un?espressione linguistica con il suo riferimento, o il riconoscimento della dimensione intrinsecamente normativa della nozione di significato. perno attorno al quale ruotano tutte le minuziose discussioni di wittgenstein sono le sue convinzioni metafilosofiche: la concezione dell?origine e della natura dei problemi della filosofia, ricondotta alle confusioni che il linguaggio stesso genera; e l?individuazione degli obiettivi appropriati e dei metodi dell?analisi filosofica, radicalmente contrapposti a quelli delle scienze. scopo della "buona" filosofia, ribadisce wittgenstein ancora una volta, e infatti la chiarificazione dei pensieri - condizione necessaria non tanto per risolvere i tormentosi problemi della filosofia, quanto, piu semplicemente, per dissolverli.

scritti nelle domeniche oziose, "solo con la voglia di raccontare storie avvincenti", i brevi testi qui radunati offrono un saggio dell?onnivora curiosita che e la molla vitale di ogni scienziato, anche di chi, come vallortigara, "per mestiere passa il tempo a studiare il linguaggio delle lucciole e il tabu dell?incesto nelle falene". intrecciando etologia, neuroscienze e amore per la letteratura, e sempre forzando i confini tra discipline diverse, vallortigara delinea in queste pagine un itinerario affascinante: ci conduce per esempio a capri, sulle tracce dell?etologo estone jakob von uexkull; oppure alla scoperta delle prodezze cognitive di physarum polycephalum, un organismo unicellulare capace di estendere le sue propaggini protoplasmatiche in una rete che compete in efficienza con quella delle ferrovie di tokyo; o, ancora, alla ricerca della ragione per cui l?uso alternato della narice destra e sinistra in un cane puo illuminare il differente funzionamento dei due emisferi cerebrali, e spiegare perche una parte dell?umanita e mancina. smascherando i piu diffusi pregiudizi sul mondo animale, vallortigara elargisce rivelazioni sorprendenti - sull?empatia delle formiche e l?altruismo dei pappagalli, sugli esiti dei processi di selezione genetica delle galline, sul luogo misterioso del cervello dove e custodita la memoria, sull?origine biologica delle credenze umane in entita sovrannaturali. e ci ricorda che gli animali, oltre che amici meravigliosi, sono anzitutto "una fonte inesauribile di interrogativi".

i diciassette racconti inediti rinvenuti nel computer di bolano dopo la sua morte che hanno fatto nascere e prosperare la sua leggenda nera, oggi per la prima volta tradotti in italiano, insieme a tutti i suoi racconti pubblicati in vita.

leggendo rachel ingalls, abbiamo l?impressione di trovarci in un mondo in apparenza familiare, ma da cui qualcosa ci tiene separati - quasi avessimo varcato una pericolosa soglia invisibile e di colpo vedessimo tutto da un diverso emisfero -, o forse in un sogno, che al tempo stesso ci adesca e minaccia. nei cinque lunghi racconti, o novelle esemplari, che compongono "benedetto e il frutto", incontreremo un frate gravido dell?arcangelo gabriele - questa almeno e la versione che offre ai confratelli del monastero; il creatore di una bambola realissima che con la sua esuberanza sessuale causera sviluppi imprevedibili, mandando a gambe all?aria la vita familiare dell?uomo; una coppia che viene invitata a una festa in campagna dove tutto sembra normale e insieme spettrale, come sospeso, e che sulla via del ritorno andra incontro a un?inattesa calamita piovuta dal cielo; una donna in vacanza con il marito e in preda a una subdola mania che suscita domande sempre piu angoscianti sul suo stato mentale; e, infine, avremo a che fare con le conseguenze assurde, allucinanti, quasi apocalittiche del furto di una pagnotta. in tutti e cinque affronteremo momenti, personaggi e situazioni fuori da ogni norma, non soltanto letteraria: la migliore introduzione possibile all?universo narrativo di rachel ingalls.

"una sorta di reportage romanzesco sull?universo concentrazionario tedesco". cosi, nel 1986, danilo kis defini "salmo 44", uscito nel 1962, rimproverandosi di "certe cose dette, per mancanza di esperienza, in maniera troppo diretta". sarebbe tuttavia ingeneroso ridurre questo testo duro e folgorante - ispirato dalla lettura di un articolo di giornale su una coppia di sopravvissuti ad auschwitz in visita al museo del lager - ad acerba prova giovanile. le ore spasmodiche che precedono la fuga notturna di maria, insieme al figlio neonato jan e alla compagna di prigionia jeanne, dal campo di birkenau si dilatano infatti a dismisura nel flusso caotico dei ricordi della giovane protagonista, barcollante "sul limite dell?incoscienza" negli attimi che la separano dalla salvezza o dalla fine. attraverso quei ricordi kis rievoca, con una scrittura che sembra fatta di corpi tremanti, non solo l?orrore dell?olocausto e degli esperimenti di josef mengele, l?improvviso apparire dei "fur juden verboten" sulle porte dei tram, il massacro di novi sad, ma anche l?incontro di maria con jakub, l?indimenticabile attesa di lei "in piedi nel buio, immobile" con gli occhi sgranati, chiusa nell?armadio, mentre tra jakub e il dottor nietzsche si consuma "un duello segreto, quel gioco pericoloso in cui uno dei giocatori ha dalla sua un fante di picche con due pugnali e l?altro ha soltanto lo scudo aereo dell?azzardo e della ragione". kis si conferma, fra coloro che hanno osato narrare il dramma abbattutosi sul popolo ebraico e sull?europa centrale, voce tra le piu potenti e memorabili.

la passione di jamaica kincaid per piante e fiori risale a quando, ancora bambina, mentre imparava a leggere sulla bibbia, ha esplorato il suo primo giardino, l?eden. scaturita prima che avesse familiarita "con quell?entita chiamata coscienza" e poi tenacemente coltivata, tale passione l?ha portata anni dopo a intraprendere in compagnia di tre botanici un viaggio sulle colline pedemontane dell?himalaya, alla ricerca di semi da piantare nel suo giardino del vermont. tre settimane di faticoso cammino, fra paesaggi sempre mutevoli, di una bellezza vertiginosa e allarmante - inquietanti strapiombi a pochi centimetri dai piedi, improvvisi sbalzi di temperatura, le onnipresenti sanguisughe, guerriglieri maoisti mai indulgenti con chi proviene dagli stati uniti -, che hanno dato vita a questo piccolo libro, solo in apparenza diverso dai precedenti, dove la prosa di kincaid conserva la stessa "spontaneita sontuosa" che le aveva attribuito una volta, con calzante precisione, susan sontag. una spontaneita che le permette di gettare, anche se solo di sfuggita, uno sguardo radente sugli effetti perduranti e duraturi del colonialismo, ma anche sul senso piu nascosto dell?esistenza, in un ambiente che - come quello himalayano - annienta le nostre nozioni di spazio e di tempo.
